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La (post) democrazia immunitaria e il respiro del mondo

18 Maggio 2020

Il confinamento domestico, il blocco delle produzioni, la chiusura dei commerci causa Covid 19 sono stati un forte propellente filosofico e politico. Tutti o quasi tutti siamo stati spinti a chiederci se davvero, a emergenza finita, niente sarà più come prima, come molti di noi vorrebbero, oppure, viceversa, se la recessione finirà per scatenare il peggio che cova nella società: più disuguaglianze, più profitti per i soliti noti, maggiori danni alla biosfera.

L’emergenza non è ancora finita, ma già si intravedono alcune tracce del dopo, con la seconda ipotesi decisamente favorita, a meno che non si formi nel corpo della società un’opposizione ampia e radicale capace di fare leva su alcune scoperte compiute da milioni di persone costrette all’improvviso all’isolamento sociale: la fragilità del sistema di protezione sociale e sanitaria; la natura tragicamente predatoria del capitalismo neoliberale, foriera di ulteriori funeste risposte degli ecosistemi, in aggiunta al coronavirus tuttora in circolazione; l’inconsistenza di alcuni dogmi economici propagandati come naturali e immodificabili per almeno tre decenni da un nucleo di sacerdoti (gli economisti del credo neoliberale) e amplificati da un sistema mediatico compiacente, col ceto politico consenziente, vuoi per interesse (la destra destra), vuoi per effetto di una sopravvenuta crisi di identità (la sinistra di destra).

Fra i numerosi pamphlet già arrivati in libreria (fisica o virtuale che sia), “Virus sovrano?” di Donatella Di Cesare (Bollati Boringhieri, 96 pagine, 5.99 €) si distingue per senso della misura. Di Cesare è considerata filosofa “radicale” da un sistema culturale e mediatico che fa della moderazione e della reticenza il suo faro nella notte del tempo presente, ma non concede niente al cliché del radical: non ama le affermazioni perentorie, né mostra voglia di stupire. Procede, piuttosto, con spirito di servizio: affronta cioè l’emergenza Covid e tutti i suoi risvolti con l’intento di capirne davvero gli effetti sulla società, a partire da un’analisi già consolidata e consegnata ai suoi lavori precedenti.

“Virus sovrano” non è dunque un instant book, ma un’aggiunta, uno sviluppo di libri precedenti, a cominciare da Stranieri residenti, forse il volume più importante uscito negli ultimi anni sull’attuale società dell’esclusione, che ha per architravi il rifiuto dello straniero, l’ossessione per la sicurezza e le politiche della paura (la “fobocrazia”), la contrapposizione fra diritti umani e diritti di cittadinanza, coi secondi che prevalgono sui primi e ne limitano la portata, negandone dunque l’essenza.

Di Cesare sostiene che l’emergenza Covid potrebbe aprire la strada a una “democrazia immunitaria” destinata a radicalizzare le tendenze già mostrate dalle democrazie europee. La nuova demarcazione fra immunizzati e degni di immunizzazione da un lato ed esposti al contagio e potenzialmente contagiosi dall’altro andrebbe dunque a sovrapporsi alle linee di esclusione già esistenti. La “democrazia immunitaria” sarebbe dunque il sigillo al modello della Fortezza Europa, la chiusura di quel cerchio perverso che ha messo fuori gioco milioni di persone, escluse dal godimento dei diritti fondamentali perché nate nel posto sbagliato, lontano dal centro di irradiazione delle ricchezze e dei relativi privilegi, peraltro distribuiti secondo criteri di forte gerarchizzazione.

C’è anche un salto di qualità alle porte nelle dinamiche di esclusione, dice Di Cesare: la medicina si sta mescolando alla politica, favorendo un governo dei corpi e delle relazioni sociali che ricorda gli spettri più terribili del terribile ‘900.

“Virus sovrano?” non è tuttavia un libro disperato. Dichiara già nel sottotitolo che si è rivelata al nostro sguardo una “asfissia capitalistica”, la quale ha messo a nudo i tratti salienti del modello economico dominante: gli ecosistemi hanno respirato grazie al blocco delle produzioni; le persone hanno capito di vivere in un mondo – quello del “prima – ossessionato dalla crescita e dalla competizione, nel quale ciascuno è asfissiato da obblighi e costrizioni, non già libero e sovrano come il potere sostiene.

Anche per Di Cesare la pandemia è un’occasione di cambiamento, ma nel suo discorso non ci sono determinismi né prospettive di un’immediata palingenesi. “E’ possibile”, scrive la filosofa, “che una tale crisi sanitaria – purché resti impresso nella sensibilità comune il pericolo pandemico – sia la chance per rilanciare una lotta non solo per la salute pubblica, ma anche per la preservazione dell’ambiente e la biodiversità”. “Forse sarebbe tempo”, aggiunge Di Cesare in un altro passaggio, “di abbandonare il linguaggio di bilanci e calcoli, deponendo la bandiera della crescita in cui nessuno sembra più credere. E’ il capitale a produrre la miseria. In uno scenario dove le altre ricchezze sono svuotate di senso si staglia il futuro di una sobrietà conviviale, scevra del superfluo, che porti alla luce i legami altrimenti dimenticati dell’esistenza”.

Insomma, c’è ancora la possibilità di respirare aria buona in questo mondo, purché siamo capaci di fare i conti con la “democrazia immunitaria” che le tecnocrazie al potere sembrano preferire.

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