Vai al contenuto

La legge sulla tortura, i suoi paradossi e il degrado civile che l’accompagna

27 giugno 2017

Il paradosso principale del testo di legge sulla tortura in discussione alla Camera dei deputati è nella sua relazione coi fatti del G8 di Genova nel 2001. La maggiore spinta ad approvare una legge – una legge purchessia, viene da dire – arriva proprio da quelle vicende, per effetto delle condanne che l’Italia sta subendo davanti alla Corte europea per i diritti umani. Nell’aprile 2015 c’è stata la sentenza Cestaro, pochi giorni fa la condanna su altri 29 casi analoghi (compreso il sottoscritto). Per l’Italia è una pessima figura e governo e parlamento avvertono la pressione dei giudici di Strasburgo (cono attese altre condanne per le torture nella caserma di Bolzaneto).

132502254-afb23150-1267-4419-8b60-1ed08ccdfb2d

Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini, pm nel processo Diaz

Ebbene, il paradosso è che il testo di legge uscito dal Senato, secondo undici pm e giudici del tribunale di Genova che sono stati impegnati a vario titolo nei processi Diaz e Bolzaneto, non sarebbe applicabile a casi analoghi, come hanno spiegato dettagliatamente in una dirompente e importante  lettera-appello inviata alla presidente della Camera Laura Boldrini. Dunque si definisce e si approva una legge sulla tortura sull’onda della vergogna per il caso Genova, ma si è spinti da motivazioni così fasulle e contraddittorie che alla fine il testo sarebbe inefficace a punire proprio quel caso.

Il relatore Franco Vazio nel suo intervento alla Camera e la ministra Anna Finocchiaro in un intervento sul quotidiano la Repubblica hanno cercato di correre ai ripari, ma la loro difesa  del testo è davvero poco convincente: sostengono in sostanza che nonostante il testo sia stato scritto in un certo modo (le “violenze e minacce gravi”, le “condotte plurime”, il “trauma psichico verificabile” e così via), è da leggersi come se coincidesse con il testo della Convenzione Onu, che mette la violenza e la minaccia al singolare e non parla di traumi “verificabili” (per non dire delle altre mancanze: il crimine tipico del pubblico ufficiale, la imprescrittibilità  del reato, il fondo per il sostegno delle vittime). Sul piano politico sono posizioni comprensibili (ci cerca di “portare a casa” la legge nonostante tutto) ma sul piano tecnico soccombono di fronte ai pareri dei vari giuristi e dei giudici genovesi.

E’ davvero difficile, in questo contesto, accontentarsi, come chiede ad esempio Amnesty International, della presenza della parola tortura nell’ordinamento e quindi accettare una legge che finirebbe per non punire, e quindi legittimare indirettamente, molte forme di tortura.

Ci sarebbe semmai, sull’onda delle recenti notizie e prese di posizione – la richiesta del commissario europeo per i diritti umani di cambiare il testo della legge; le nuove condanne a Strasburgo per il caso Diaz; la lettera-appello dei giudici genovesi –  da organizzare una mobilitazione civile per chiedere/imporre al parlamento di seguire le indicazioni della Corte e del commissario, invece di rifiutarle e porsi in esplicito antagonismo con le convenzioni e le regole internazionali.

108095-md

Genova, luglio 2001

Niente del genere è pensabile visto lo spirito di desistenza prevalente, ma c’è da chiedersi  se ci sia una ragione profonda che possa spiegare un arretramento così evidente e così grave sul piano giuridico come su quello sociale e culturale. Perché l’Italia si candida ad avere la peggiore legge sulla tortura in Europa? Perché risponde così goffamente agli appunti della Corte europea di Strasburgo, che nella sentenza Cestaro del 2015 ha parlato di “deficit strutturale” nel sistema di tutela dei diritti fondamentali?

Si dice che l’opinione pubblica non si sente toccata dalla questione tortura e quindi i politici sono più sensibili alle esigenze delle forze di polizia – contrarie nei loro vertici e nei loro sindacati a una vera legge sulla tortura – sia per una storica ragione di sudditanza psicologica (è la tesi di Luigi Manconi), sia per una debolezza di fondo della politica rispetto agli apparati (è la tesi fra gli altri di Luigi Notari, storica  anima della sinistra sindacale nel Siulp).

In verità proprio le vicende del G8 di Genova, come vari altri tragici casi successivi (Cucchi, Aldrovandi, Magherini per citarne alcuni), hanno dimostrato che la qualità delle relazioni fra cittadini e forze dell’ordine è uno snodo centrale nelle dinamiche della vita pubblica: le chiusure corporative, la mancata o l’insufficiente giustizia, il rifiuto di riconoscere i propri errori e le proprie responsabilità hanno via via deteriorato la posizione e la credibilità delle forze dell’ordine, contribuendo a minare la fiducia nelle istituzioni e negli stessi principi della cittadinanza democratica.

Ancora più a fondo, è legittimo il dubbio che un testo di legge così contorto e così poco applicabile a casi concreti di tortura contemporanea, serva in realtà ad assecondare quegli slogan –  “così ci impedite di lavorare”, “ci esponete a denunce e quindi non potremo agire contro terroristi e malavitosi” – che si sono sentiti durante le manifestazioni di protesta di alcuni sindacati di polizia e anche nelle audizioni parlamentari di alti esponenti dei vari corpi di sicurezza. E’ una richiesta di mantenimento dello status quo, a prescindere dai fatti e dalla lacune evidenziate dai tribunali italiani e dalle Corti europee,  che la dice lunga su quanto, invece, le forze di polizia italiana avrebbero bisogno di norme e indirizzi politici saldamente ancorati ai princìpi dello stato di diritto e alla primaria funzione di tutela dei diritti fondamentali del cittadino.

A chi lavora in polizia dovrebbe arrivare un messaggio di profonda innovazione e cambiamento, non un provvedimento confuso e incerto, frutto di trattative al ribasso, destinato a lasciare le cose come sono.

La legge in discussione alla Camera sembra il frutto della convinzione  che le forze di sicurezza italiane non possano agire secondo le regole e i limiti tipici delle democrazie affini alla nostra.

Ma perché dovremmo accettare questa degradante visione del nostro paese?

 

No comments yet

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.