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Le foibe e il Giorno del ricordo: orgoglio e pregiudizio nazionalisti

3 febbraio 2021

Eric Gobetti a un certo punto del suo libro “E allora le foibe?” (Laterza 2021) scrive che il Giorno del ricordo – celebrazione nazionale che cade il 10 febbraio – rischia di diventare “una commemorazione fascista”. Ma forse è già così, se pensiamo alla retorica corrente sul tema delle foibe, legata a un visione mitizzata, irrealistica e anti storica costruita nel tempo: gli infoibamenti lungo il confine orientale come “pulizia etnica” dei partigiani comunisti jugoslavi a danno degli italiani in quanto italiani; gli infoibamenti come la “nostra Shoah”, col Giorno del ricordo a bilanciare da destra il Giorno della memoria (considerato di sinistra).

La ricerca storica è oggi in grado di mettere i puntini sulle i, come Gobetti documenta nel suo libro, sia per le cifre degli infoibati, sia con riguardo ai motivi delle violenze e all’uso politico della storia che si sta facendo. Ricerca storica che porta in direzione opposta alla retorica corrente. Eppure in politica e sui media si continua a parlare di cifre incontrollabili (“decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di morti” secondo Paolo Mieli in un programma televisivo di divulgazione storica, per citare un caso clamoroso, a fronte di 4500-5000 vittime stimate dagli storici); eppure gli ultimi due presidenti della Repubblica italiana – Napolitano e Mattarella – nei loro discorsi del 10 febbraio hanno parlato di “pulizia etnica”, mentre la ragione degli eccidi era eminentemente politica (nel 2007 il presidente croato Mesic riscontrò nel discorso di Napolitano “elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico”).


La celebrazione del Giorno del ricordo – che riguarda anche l’esodo degli italiani da Istria e Dalmazia, altrettanto stravolto e mitizzato – è un successo politico della destra nazionalista e post fascista italiana, che ha costruito nel tempo il mito della “pulizia etnica” attuata dalle “orde slave e comuniste” contro la popolazione italiana innocente e indifesa. Un successo reso possibile dal cedimento culturale e politico della (ex) sinistra italiana, che votò in favore della legge ideata dal deputato triestino ex missino Roberto Menia nell’intento, probabilmente, di rifarsi una verginità, nel pieno del marasma seguito alla dissoluzione dell’ex Pci e della sua evoluzione verso un confuso approdo liberaldemocratico.


Gli infoibamenti furono un crimine, umanamente orribile ma in sede di analisi storica di modeste proporzioni e simile a quanto avvenuto in tutta l’Europa occidentale alla fine della guerra (anche in Italia, si pensi ai regolamenti di conti nel ‘Triangolo rosso’ in Emilia), con una particolarità: nell’alto Adriatico era in corso un radicale cambiamento politico, con l’insediamento di un nuovo stato e di un nuovo sistema ideologico-politico, legato al comunismo internazionale. Gobetti fa notare con ragione che nell’area fra Trieste, Fiume e la Dalmazia l’azione della Jugoslavia di Tito contro i propri avversari fu ben più moderata – per ragioni di opportunità diplomatica – di quanto fatto in altre zone del paese. Non c’erano ragioni “etniche” contro gli italiani.


Sulle foibe è stato costruito un castello propagandistico che ha finito per obliterare aspetti non marginali di storia vissuta (e ben documentata dalla ricerca), a partire dai crimini di guerra compiuti dal nostro esercito e rimasti del tutto impuniti, vista la protezione garantita a generali e alti ufficiali dall’Italia democratica post bellica. Per non dire della politica di snazionalizzazione attuata dal fascismo, che a nord-est fu particolarmente risoluto e violento.

Nell’estate scorsa i presidenti di Slovenia e Italia, in un celebrato incontro a Basovizza, provarono a rompere lo schema delle opposte memorie (e simmetriche amnesie) sulle vicende del confine orientale, iniziando un percorso che dovrebbe riconoscere le verità storiche – le brutalità del fascismo e i crimini di guerra dell’esercito italiano; le violenze dei partigiani e del nascente stato jugoslavo – e da lì avviare un confronto pacifico di onesta costruzione delle memorie nazionali. Le celebrazioni del 10 febbraio, finché resteranno ancorate alla retorica antistorica fin qui praticata, saranno un inutile e sbagliato esercizio di orgoglio e pregiudizio nazionalista e non aiuteranno tale difficile percorso.

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