Vai al contenuto

A che serve il Giorno della Memoria?

27 gennaio 2019

Ogni 27 gennaio è giusto farsi la domanda più semplice: a che serve il Giorno della Memoria? La risposta è facile solo in apparenza. D’acchito, viene da dire: per non dimenticare il massimo crimine contro l’umanità compiuto nel Ventesimo secolo e forse nell’intero corso della storia di Homo Sapiens, ossia lo sterminio di milioni di persone “colpevoli” d’essere quello che erano e non di azioni o misfatti particolari. Giusto, ma qual è l’uso che possiamo fare di questo ricordo? A che cosa realmente ci serve?
deportazione1Su questo punto le risposte possibili sono numerose. Serve a combattere l’antisemitismo, a diffidare dei nazionalismi, a riflettere sulle complicità  dei cittadini con i peggiori governi eccetera eccetera. Su tutte le possibili risposte, svetta l’osservazione di Primo Levi, che ammoniva: è accaduto e quindi può accadere di nuovo. E’ questo, in fondo, il cuore della Giornata: ricordare l’abominio perché incombe su tutti il rischio di ripeterlo. Ineccepibile; fatto salvo un pericolo che merita d’essere considerato. Il pericolo che ci si fermi lì, al monito generale, al rischio di un ritorno del Male assoluto e genocida.
Tale monito può suscitare forme di (auto)consolazione. E’ facile sentirsi al riparo da simile evenienza. Per quanto viviamo un’epoca tempestosa, attraversata da importanti tensioni geopolitiche, è diffusa la sensazione che la Shoah e tutto che ciò che il 27 gennaio siamo spinti a ricordare siano sostanzialmente irripetibili. Quindi ci sentiamo tranquilli. Possiamo vivere la Giornata della Memoria come un prezioso strumento di trasmissione del ricordo ma senza provare troppi turbamenti.
C’è quindi qualcosa che manca. Manca l’attenzione a un messaggio potente che ci arriva dalla Shoah (e a ben vedere da quell’immane tragedia dell’umanità che fu la seconda guerra mondiale), ossia la tendenza a qualificare categorie piccole e grandi di persone come “vite che non contano”, quindi disumanizzabili, quindi eliminabili. Auschwitz in questo senso è il simbolo più spaventoso e insopportabile di una prassi che non è cessata.
Ci sono altre vite che non contano intorno a noi. A queste vite che di solito osserviamo da lontano, magari facendo spallucce, o anche provando disagio, a queste vite che non contano dovremmo pensare il 27 gennaio e tutti gli altri giorni. E dopo Auschwitz sappiamo che il pensiero dev’essere accompagnato dall’azione.

 

No comments yet

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.